Il destino dell’antropologia culturale sembra essere segnato da un perenne sbilanciamento in avanti, rispetto alla gran parte degli ambiti discorsivi (senso comune, politica, media, discipline affini, ricerca scientifica in generale) affianco ai quali deve pur collocarsi, in quanto prodotto culturale. Ciò è probabilmente dovuto alla tensione epistemologica che le è propria, e che è stata sottolineata e individuata più volte, nel corso della storia della disciplina, da vari autori, e da molteplici prospettive. Una tensione epistemologica che conferisce alla riflessione antropologica un carattere peculiare e una problematicità inesauribile. In nessun altro campo del sapere occidentale infatti i concetti, i metodi, le teorie sono sottoposti a continua opera di ripensamento, revisione critica, decostruzione, rielaborazione. Secondo alcuni (per esempio Antony Giddens) ciò è un chiaro segnale di debolezza teorica e confusione metodologica; secondo altri (per esempio, Clifford Geertz) ciò è invece segno di una grande capacità di cogliere i cambiamenti e di adattarvisi; secondo altri ancora (per esempio, Roger Keesing) ciò è legato al fatto che il progetto dell’antropologia fin dalla sua nascita consiste nell’invenzione ed evocazione dell’alterità radicale, per cui il discorso antropologico deve continuamente riformularsi – a seconda di come si dispongono le relazioni identitarie – in modo da poter svolgere la sua funzione essenziale di incorniciare una diversità – e in questo compito svolgerebbe un ruolo cruciale il classico concetto di cultura come universo delimitato di valori e usi e costumi condivisi – necessaria al pensiero europeo e statunitense (che può così esercitarsi a fondo nella sua azione di critica culturale). Comunque sia, è diffuso il dubbio che nonostante il progredire della riflessione e l’ampiezza raggiunta dalla ricerca empirica, in parte probabilmente per effetto di alcuni processi esterni alla disciplina e che riguardano invece ciò su cui essa si esercita, invece che consolidarsi, l’antropologia si sia indebolita. Nonostante che negli ultimi anni abbia guadagnato moltissimo in termini di popolarità e di gradimento sociale, e nonostante il fatto che il più celebre dei suoi concetti, appunto quello di cultura, sia entrato a far parte del vocabolario quotidiano dei giornali e della televisione, dei politici e degli operatori sociali, dei pubblicitari e di molti altri. Il saggio esamina criticamente le dinamiche appena delineate, tracciando una storia breve del concetto di cultura in antropologia.
Matera, V. (2008). Pensare la cultura. In V. Matera (a cura di), Il concetto di cultura nelle scienze sociali contemporanee (pp. 7-22). Torino : Utet università.
Pensare la cultura
MATERA, VINCENZO
2008
Abstract
Il destino dell’antropologia culturale sembra essere segnato da un perenne sbilanciamento in avanti, rispetto alla gran parte degli ambiti discorsivi (senso comune, politica, media, discipline affini, ricerca scientifica in generale) affianco ai quali deve pur collocarsi, in quanto prodotto culturale. Ciò è probabilmente dovuto alla tensione epistemologica che le è propria, e che è stata sottolineata e individuata più volte, nel corso della storia della disciplina, da vari autori, e da molteplici prospettive. Una tensione epistemologica che conferisce alla riflessione antropologica un carattere peculiare e una problematicità inesauribile. In nessun altro campo del sapere occidentale infatti i concetti, i metodi, le teorie sono sottoposti a continua opera di ripensamento, revisione critica, decostruzione, rielaborazione. Secondo alcuni (per esempio Antony Giddens) ciò è un chiaro segnale di debolezza teorica e confusione metodologica; secondo altri (per esempio, Clifford Geertz) ciò è invece segno di una grande capacità di cogliere i cambiamenti e di adattarvisi; secondo altri ancora (per esempio, Roger Keesing) ciò è legato al fatto che il progetto dell’antropologia fin dalla sua nascita consiste nell’invenzione ed evocazione dell’alterità radicale, per cui il discorso antropologico deve continuamente riformularsi – a seconda di come si dispongono le relazioni identitarie – in modo da poter svolgere la sua funzione essenziale di incorniciare una diversità – e in questo compito svolgerebbe un ruolo cruciale il classico concetto di cultura come universo delimitato di valori e usi e costumi condivisi – necessaria al pensiero europeo e statunitense (che può così esercitarsi a fondo nella sua azione di critica culturale). Comunque sia, è diffuso il dubbio che nonostante il progredire della riflessione e l’ampiezza raggiunta dalla ricerca empirica, in parte probabilmente per effetto di alcuni processi esterni alla disciplina e che riguardano invece ciò su cui essa si esercita, invece che consolidarsi, l’antropologia si sia indebolita. Nonostante che negli ultimi anni abbia guadagnato moltissimo in termini di popolarità e di gradimento sociale, e nonostante il fatto che il più celebre dei suoi concetti, appunto quello di cultura, sia entrato a far parte del vocabolario quotidiano dei giornali e della televisione, dei politici e degli operatori sociali, dei pubblicitari e di molti altri. Il saggio esamina criticamente le dinamiche appena delineate, tracciando una storia breve del concetto di cultura in antropologia.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.