A fronte della così detta ipertrofia segnica e dell’immersione in un inquinamento immaginifico che conduce all’horror vacui della comunicazione, della presenza virtuale, della responsività estetica dei modelli culturali ed educativi taciti, la pedagogia è chiamata ad una militanza che qui assume due declinazioni. Non solo i media propongono modelli ed iconografie che precocizzano processi di adultizzazione infantili e urgono di ringiovanimento l’età adulta , ma la predominanza del presente sembra soggiacere ai processi di costruzione socio-culturale in modo ancora più profondo. L’immagine ha spossessato la parola per dire e per dirsi e costruire la propria e l’altrui identità diviene un gesto di apparenza e di spettacolarizzazione, invece che di responsabilità. Il dare a vedere coincide con l’idea del poter essere: contro tale deriva, la prospettiva educativa che qui si propone affronta da una parte la dimensione relazionale della riflessione, che Derrida colloca nella voce, attraverso pratiche di ascolto, processi di riscoperta di sé, ma anche di promozione etico-politica e di riconoscimento dell’alterità, mediante metodologie di educazione del silenzio, della parola e della scrittura, del risveglio della presenza come presenza a sé. Dall’altra suggerisce un lavoro che connetta la presenza al volto, al nostro essere incorporati e avere, cioè, uno statuto visibile. Ed una natura “vedente”. A stabilire ulteriormente il quadro di riferimento di questa proposta, occorrerà dire che ci si muove nel territorio della filosofia dell’educazione. Si precisa, inoltre, che la filosofia dell’educazione qui intesa si stabilisce come pratica teorica. In tal senso, il compito militante ed etico che la filosofia dell’educazione si propone di assumere si esprime in tre funzioni possibili. La prima ha un carattere epistemologico. Si tratta di identificare le caratteristiche dei saperi diffusi ed in particolare dei saperi dell’educazione. Con una sorta di funzione vigilante su quelle pratiche e quei saperi delle scienze dell’educazione, scorge scenari, quadri di riferimento, orizzonti possibili. La seconda ha una valenza ermeneutica: cogliendo la sollecitazione a prestare attenzione al momento in cui emerga il piano interpretativo, nonché la relativa mossa conoscitiva ed il ruolo di soggetto di interpretazione, all’interno di progettazioni di tipo educativo o in riflessioni su dimensioni, momenti e relazioni educative. Infine, una terza funzione si colloca nel carattere propositivo che la filosofia dell’educazione si propone di avere. Per evitare derive positiviste in educazione e per mantenere alta l’attenzione ai problemi del senso, ponendosi domande relative al tipo di soggettività che i sistemi ed i valori educativi contribuiscono a formare, la filosofia dell’educazione pone la propria militanza pedagogica come necessità di una riflessione operativa sulle urgenze di una formazione dell’individuo come soggetto autonomo. In tale funzione svolge un ruolo primario l’intreccio tra il momento riflessivo e lo spazio utopico del possibile.

Mancino, E. (2015). Parola e immagine per una pedagogia militante. Imparare il tempo del limite, tra dire e guardare. In S.U. M. Tomarchio (a cura di), Pedagogia militante Diritti, culture, territori Atti del 29° convegno nazionale SIPED Catania 6-7-8 novembre 2014 (pp. 472-479). Pisa : ETS.

Parola e immagine per una pedagogia militante. Imparare il tempo del limite, tra dire e guardare

Mancino, E
2015

Abstract

A fronte della così detta ipertrofia segnica e dell’immersione in un inquinamento immaginifico che conduce all’horror vacui della comunicazione, della presenza virtuale, della responsività estetica dei modelli culturali ed educativi taciti, la pedagogia è chiamata ad una militanza che qui assume due declinazioni. Non solo i media propongono modelli ed iconografie che precocizzano processi di adultizzazione infantili e urgono di ringiovanimento l’età adulta , ma la predominanza del presente sembra soggiacere ai processi di costruzione socio-culturale in modo ancora più profondo. L’immagine ha spossessato la parola per dire e per dirsi e costruire la propria e l’altrui identità diviene un gesto di apparenza e di spettacolarizzazione, invece che di responsabilità. Il dare a vedere coincide con l’idea del poter essere: contro tale deriva, la prospettiva educativa che qui si propone affronta da una parte la dimensione relazionale della riflessione, che Derrida colloca nella voce, attraverso pratiche di ascolto, processi di riscoperta di sé, ma anche di promozione etico-politica e di riconoscimento dell’alterità, mediante metodologie di educazione del silenzio, della parola e della scrittura, del risveglio della presenza come presenza a sé. Dall’altra suggerisce un lavoro che connetta la presenza al volto, al nostro essere incorporati e avere, cioè, uno statuto visibile. Ed una natura “vedente”. A stabilire ulteriormente il quadro di riferimento di questa proposta, occorrerà dire che ci si muove nel territorio della filosofia dell’educazione. Si precisa, inoltre, che la filosofia dell’educazione qui intesa si stabilisce come pratica teorica. In tal senso, il compito militante ed etico che la filosofia dell’educazione si propone di assumere si esprime in tre funzioni possibili. La prima ha un carattere epistemologico. Si tratta di identificare le caratteristiche dei saperi diffusi ed in particolare dei saperi dell’educazione. Con una sorta di funzione vigilante su quelle pratiche e quei saperi delle scienze dell’educazione, scorge scenari, quadri di riferimento, orizzonti possibili. La seconda ha una valenza ermeneutica: cogliendo la sollecitazione a prestare attenzione al momento in cui emerga il piano interpretativo, nonché la relativa mossa conoscitiva ed il ruolo di soggetto di interpretazione, all’interno di progettazioni di tipo educativo o in riflessioni su dimensioni, momenti e relazioni educative. Infine, una terza funzione si colloca nel carattere propositivo che la filosofia dell’educazione si propone di avere. Per evitare derive positiviste in educazione e per mantenere alta l’attenzione ai problemi del senso, ponendosi domande relative al tipo di soggettività che i sistemi ed i valori educativi contribuiscono a formare, la filosofia dell’educazione pone la propria militanza pedagogica come necessità di una riflessione operativa sulle urgenze di una formazione dell’individuo come soggetto autonomo. In tale funzione svolge un ruolo primario l’intreccio tra il momento riflessivo e lo spazio utopico del possibile.
Capitolo o saggio
filosofia dell'educazione, fenomenologia, silenzio, relazione, ermeneutica
Italian
Pedagogia militante Diritti, culture, territori Atti del 29° convegno nazionale SIPED Catania 6-7-8 novembre 2014
M. Tomarchio, S. Ulivieri
2015
978-884674372-5
ETS
472
479
Mancino, E. (2015). Parola e immagine per una pedagogia militante. Imparare il tempo del limite, tra dire e guardare. In S.U. M. Tomarchio (a cura di), Pedagogia militante Diritti, culture, territori Atti del 29° convegno nazionale SIPED Catania 6-7-8 novembre 2014 (pp. 472-479). Pisa : ETS.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10281/69131
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