La trasformazione avvenuta negli ultimi anni nell’approccio all’apprendimento dei bambini e degli adolescenti e la diffusione a macchia d’olio di problemi legati alle difficoltà relazionali nella scuola di oggi rappresentano uno punti critici dell’attuale crisi dell’educazione. Cosa si cela dietro questa costellazione di sintomi e dietro il proliferare delle diagnosi? Una lettura delle emozioni e degli affetti nel contesto della scuola può contribuire a pensare questi sintomi e a tentare il loro oltrepassamento? Il contributo intende riflettere sulla conoscenza trasformativa, attenta alle cornici simboliche di cui gli affetti sono le matrici generative, per produrre una cultura più attenta alla dimensione della cura dell’umano nei gruppi professionali e nella scuola. Solo una formazione del e al profondo può ricostruire le coordinate di un’educazione possibile nella scuola L’ipotesi da cui parte la proposta è quella secondo la quale l’attuale crisi della scuola si giochi soprattutto sul cortocircuito tra due predicati che ne sono fondativi: il pensare e il sapere. Pensare e sapere rientrano ancora in una diade di significato che li rende necessariamente funzionali l’uno all’altro. Ma se uno degli obiettivi fondamentali e tradizionali dell’educazione è la trasmissione del sapere, occorre riscrivere il senso di questa espressione – trasmissione del sapere – riattivandone le dinamiche di vettore erotico-desiderativo e non solo di stoccaggio e apprendimento di informazioni e concetti. Ecco allora che il sapere, nella scuola, deve fare i conti non solo con il pensato, ma anche e soprattutto con il suo non-pensato, che è alla base del suo non-saputo. Con l’espressione l’insu que sait (il non saputo che sa), la psicoanalisi post-freudiana traduce proprio quell’elemento inconscio che, applicato alla riflessione pedagogica, sposta il baricentro della relazione educativa sulle dinamiche transferali, sulla funzione di contenimento del docente e sul setting didattico che, congiuntamente al ruolo delle emozioni e degli affetti nella formazione, contribuiscono a un ripensamento critico del rapporto tra corpo docente e studenti.
Ulivieri Stiozzi Ridolfi, S. (2020). Affetti e desiderio come impensati nella relazione tra insegnanti e studenti nella scuola di oggi. In G.C. Giuseppa Cappuccio (a cura di), 30 anni dopo la convenzione ONU sui diritti per l'infanzia.Quale pedagogia per i minori? (pp. 449-459). Lecce : Pensa Multimedia.
Affetti e desiderio come impensati nella relazione tra insegnanti e studenti nella scuola di oggi
Ulivieri Stiozzi Ridolfi, S
2020
Abstract
La trasformazione avvenuta negli ultimi anni nell’approccio all’apprendimento dei bambini e degli adolescenti e la diffusione a macchia d’olio di problemi legati alle difficoltà relazionali nella scuola di oggi rappresentano uno punti critici dell’attuale crisi dell’educazione. Cosa si cela dietro questa costellazione di sintomi e dietro il proliferare delle diagnosi? Una lettura delle emozioni e degli affetti nel contesto della scuola può contribuire a pensare questi sintomi e a tentare il loro oltrepassamento? Il contributo intende riflettere sulla conoscenza trasformativa, attenta alle cornici simboliche di cui gli affetti sono le matrici generative, per produrre una cultura più attenta alla dimensione della cura dell’umano nei gruppi professionali e nella scuola. Solo una formazione del e al profondo può ricostruire le coordinate di un’educazione possibile nella scuola L’ipotesi da cui parte la proposta è quella secondo la quale l’attuale crisi della scuola si giochi soprattutto sul cortocircuito tra due predicati che ne sono fondativi: il pensare e il sapere. Pensare e sapere rientrano ancora in una diade di significato che li rende necessariamente funzionali l’uno all’altro. Ma se uno degli obiettivi fondamentali e tradizionali dell’educazione è la trasmissione del sapere, occorre riscrivere il senso di questa espressione – trasmissione del sapere – riattivandone le dinamiche di vettore erotico-desiderativo e non solo di stoccaggio e apprendimento di informazioni e concetti. Ecco allora che il sapere, nella scuola, deve fare i conti non solo con il pensato, ma anche e soprattutto con il suo non-pensato, che è alla base del suo non-saputo. Con l’espressione l’insu que sait (il non saputo che sa), la psicoanalisi post-freudiana traduce proprio quell’elemento inconscio che, applicato alla riflessione pedagogica, sposta il baricentro della relazione educativa sulle dinamiche transferali, sulla funzione di contenimento del docente e sul setting didattico che, congiuntamente al ruolo delle emozioni e degli affetti nella formazione, contribuiscono a un ripensamento critico del rapporto tra corpo docente e studenti.File | Dimensione | Formato | |
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