Le società producono, distribuiscono e consumano cibo; le modalità attraverso cui ciò avviene è parte dei caratteri costitutivi di un ambiente sociale ed ecologico. Quindi l’aspetto alimentare e nutrizionale non è solo un fatto biologico: ciò che è edibile è il prodotto di scelte culturali, legate a specifici contesti storici e politici; è il risultato di identità individuali e collettive, di modalità di utilizzo degli spazi, della terra e dell’aria. In tal senso, le scienze nutrizionali e biomediche non solo influenzano cosa e come le persone mangiano, ma con le loro indicazioni sulle diete continuano a determinare questioni di politica e sanità pubblica (Grew, 1999). Come sostiene l’antropologa Pat Caplan, che ha svolto ricerche sull’isola di Mafia, in Tanzania, dal 1965 al 2004, il cibo è un buon esempio di come l’“order making” si materializza nella vita quotidiana. Rifacendosi al pensiero di Mary Douglas (1979), Caplan usa l’espressione “ordine culinario” per indicare le modalità con cui il cibo può esprimere e scombinare l’ordine o il disordine, la purezza o l’impurità, la sensatezza o l’insensatezza, la dimensione domestica o pubblica delle cose e delle persone che abitano un luogo (Caplan, 2006). Questo studio etnografico riprende la nozione di ordine culinario di Caplan per esaminare la questione dei cosiddetti NUS (Neglected and Underutilized Species) in un particolare contesto, la regione di Dodoma, nell’area centrale della Tanzania abitata prevalentemente dai Gogo, una popolazione agro-pastorale. Esso si inserisce in un progetto di ricerca multidisciplinare denominato Sistemi Agricoli e Sviluppo Sostenibile (SASS). Nella letteratura il termine NUS indica le specie e gli ecotipi selvatici concentrati in particolari aree del mondo ma rari a livello globale, la cui produzione e consumo sono limitati rispetto al loro potenziale economico e dietetico (Gruère et al., 2008). E’ un termine utilizzato nelle politiche dello sviluppo e negli studi agronomici e nutrizionali, evidentemente non emico, lontano dalle nomenclature locali, che in Tanzania ed in particolare nella regione centrale di Dodoma, è riferito alle verdure, spesso a foglia, che accompagnano il piatto principale, l’ugali. Dall’analisi della filiera di queste verdure, divenute nel tempo vera e propria merce alimentare, è possibile osservare i cambiamenti delle relazioni sociali e ambientali derivanti da quella che Stefano Ponte ha definito la “commercializzazione della vita rurale” (Ponte, 2002), conseguenza delle politiche agricole tanzaniane sui fast crops e sul settore ortofrutticolo, dell’enfasi sul potenziamento della capacità di produzione, trasformazione e vendita dei piccoli produttori, dell’incremento delle attività non agricole in aree agro-pastorali, dell’aumento della migrazione della forza lavoro e infine della rapida monetarizzazione degli scambi quotidiani. Mettendo al centro l’osservazione dei processi di cambiamento e ibridazione del cibo e delle economie locali in Tanzania, emergono inoltre i possibili campi di contaminazione tra l’antropologia, le scienze nutrizionali e le altre “scienze dure”.
Aiolfi, B. (2021). Fresh and cash. Come i mercati cambiano il valore del cibo in Tanzania. In A. Secomandi, D. Serra, V. Romanzi (a cura di), Contaminazioni (pp. 151-166). Bergamo : Lubrina - LEB.
Fresh and cash. Come i mercati cambiano il valore del cibo in Tanzania
Aiolfi, B
2021
Abstract
Le società producono, distribuiscono e consumano cibo; le modalità attraverso cui ciò avviene è parte dei caratteri costitutivi di un ambiente sociale ed ecologico. Quindi l’aspetto alimentare e nutrizionale non è solo un fatto biologico: ciò che è edibile è il prodotto di scelte culturali, legate a specifici contesti storici e politici; è il risultato di identità individuali e collettive, di modalità di utilizzo degli spazi, della terra e dell’aria. In tal senso, le scienze nutrizionali e biomediche non solo influenzano cosa e come le persone mangiano, ma con le loro indicazioni sulle diete continuano a determinare questioni di politica e sanità pubblica (Grew, 1999). Come sostiene l’antropologa Pat Caplan, che ha svolto ricerche sull’isola di Mafia, in Tanzania, dal 1965 al 2004, il cibo è un buon esempio di come l’“order making” si materializza nella vita quotidiana. Rifacendosi al pensiero di Mary Douglas (1979), Caplan usa l’espressione “ordine culinario” per indicare le modalità con cui il cibo può esprimere e scombinare l’ordine o il disordine, la purezza o l’impurità, la sensatezza o l’insensatezza, la dimensione domestica o pubblica delle cose e delle persone che abitano un luogo (Caplan, 2006). Questo studio etnografico riprende la nozione di ordine culinario di Caplan per esaminare la questione dei cosiddetti NUS (Neglected and Underutilized Species) in un particolare contesto, la regione di Dodoma, nell’area centrale della Tanzania abitata prevalentemente dai Gogo, una popolazione agro-pastorale. Esso si inserisce in un progetto di ricerca multidisciplinare denominato Sistemi Agricoli e Sviluppo Sostenibile (SASS). Nella letteratura il termine NUS indica le specie e gli ecotipi selvatici concentrati in particolari aree del mondo ma rari a livello globale, la cui produzione e consumo sono limitati rispetto al loro potenziale economico e dietetico (Gruère et al., 2008). E’ un termine utilizzato nelle politiche dello sviluppo e negli studi agronomici e nutrizionali, evidentemente non emico, lontano dalle nomenclature locali, che in Tanzania ed in particolare nella regione centrale di Dodoma, è riferito alle verdure, spesso a foglia, che accompagnano il piatto principale, l’ugali. Dall’analisi della filiera di queste verdure, divenute nel tempo vera e propria merce alimentare, è possibile osservare i cambiamenti delle relazioni sociali e ambientali derivanti da quella che Stefano Ponte ha definito la “commercializzazione della vita rurale” (Ponte, 2002), conseguenza delle politiche agricole tanzaniane sui fast crops e sul settore ortofrutticolo, dell’enfasi sul potenziamento della capacità di produzione, trasformazione e vendita dei piccoli produttori, dell’incremento delle attività non agricole in aree agro-pastorali, dell’aumento della migrazione della forza lavoro e infine della rapida monetarizzazione degli scambi quotidiani. Mettendo al centro l’osservazione dei processi di cambiamento e ibridazione del cibo e delle economie locali in Tanzania, emergono inoltre i possibili campi di contaminazione tra l’antropologia, le scienze nutrizionali e le altre “scienze dure”.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.