Even without working as archivists, the archive is an ordinary and well-known presence in our lives: it’s the place where traces and memories of publicly relevant moments of our biographies are conserved. Even more so today, when social media force us to spend most of our time producing, sharing and memorizing the files of our lives, thereby making archiving a widespread practice in everyday life. The archive is not only to be found in our interpersonal relationships, but it also shapes major social scenarios: that of “memory,” including nostalgias, traumas, and uncertainty about the future, and which has today become a collective obsession that politics along with the cultural and tourist industry fuel for their own interests, whether it’s a matter of healing historical wounds, building shared memories (as in the case of civil wars or those in the wake of dictatorships) or constructing stereotyped images of the past, in the form of scarcely credible yet esthetically gratifying pastiches (Lowenthal 2015). Contemporary art is no exception, characterized as it is by an “archival impulse” (Foster 2004), by an “archive fever” (Enwezor 2008), expressed in the work of artists on collections of documents, museums and collections (Putnam 2009). Anche senza lavorare come archivisti, l’archivio è nelle nostre vite una presenza ordinaria e nota: è il luogo in cui si conserva traccia e memoria di momenti pubblicamente rilevanti delle nostre biografie. A maggior ragione oggi, in un’epoca in cui i social media ci impongono di passare buona parte del nostro tempo a produrre, condividere e memorizzare i file della nostra vita, facendo dell’archiviazione una pratica disseminata nella quotidianità. L’archivio non si innesta solo nelle nostre relazioni interpersonali, ma dà anche forma a grandi scenari sociali: quella della «memoria», fra nostalgie, traumi e incertezze per il futuro, è oggi diventata un’ossessione collettiva che politica, industria culturale e turistica alimentano per i propri interessi, sia che si tratti di sanare lacerazioni storiche costruendo memorie condivise (come nel caso di guerre civili e alla fine delle dittature), sia che si tratti di costruire immagini stereotipate del passato, nella forma di pastiche poco credibili, ma esteticamente gratificanti (Lowenthal 2015). L’arte contemporanea non fa eccezione, attraversata com’è da un «impulso archivistico» (Foster 2004), da una «febbre dell’archivio» (Enwezor 2008).

Bargna, I. (2020). Pratiche culturali dell'archivio / Cultural Practices of the Archive. In B. Zanelli (a cura di), Biomega Multiverso (Reader) (pp. 122-134). Roma : Produzioni Nero.

Pratiche culturali dell'archivio / Cultural Practices of the Archive

Bargna, I
2020

Abstract

Even without working as archivists, the archive is an ordinary and well-known presence in our lives: it’s the place where traces and memories of publicly relevant moments of our biographies are conserved. Even more so today, when social media force us to spend most of our time producing, sharing and memorizing the files of our lives, thereby making archiving a widespread practice in everyday life. The archive is not only to be found in our interpersonal relationships, but it also shapes major social scenarios: that of “memory,” including nostalgias, traumas, and uncertainty about the future, and which has today become a collective obsession that politics along with the cultural and tourist industry fuel for their own interests, whether it’s a matter of healing historical wounds, building shared memories (as in the case of civil wars or those in the wake of dictatorships) or constructing stereotyped images of the past, in the form of scarcely credible yet esthetically gratifying pastiches (Lowenthal 2015). Contemporary art is no exception, characterized as it is by an “archival impulse” (Foster 2004), by an “archive fever” (Enwezor 2008), expressed in the work of artists on collections of documents, museums and collections (Putnam 2009). Anche senza lavorare come archivisti, l’archivio è nelle nostre vite una presenza ordinaria e nota: è il luogo in cui si conserva traccia e memoria di momenti pubblicamente rilevanti delle nostre biografie. A maggior ragione oggi, in un’epoca in cui i social media ci impongono di passare buona parte del nostro tempo a produrre, condividere e memorizzare i file della nostra vita, facendo dell’archiviazione una pratica disseminata nella quotidianità. L’archivio non si innesta solo nelle nostre relazioni interpersonali, ma dà anche forma a grandi scenari sociali: quella della «memoria», fra nostalgie, traumi e incertezze per il futuro, è oggi diventata un’ossessione collettiva che politica, industria culturale e turistica alimentano per i propri interessi, sia che si tratti di sanare lacerazioni storiche costruendo memorie condivise (come nel caso di guerre civili e alla fine delle dittature), sia che si tratti di costruire immagini stereotipate del passato, nella forma di pastiche poco credibili, ma esteticamente gratificanti (Lowenthal 2015). L’arte contemporanea non fa eccezione, attraversata com’è da un «impulso archivistico» (Foster 2004), da una «febbre dell’archivio» (Enwezor 2008).
Capitolo o saggio
cultural anthropology; archive; social memory; images; contemporary art
antropologia culturale; archivio; memoria sociale; immagine; arte contemporanea
English
Italian
Biomega Multiverso (Reader)
Zanelli, B
2020
9788880560968
Produzioni Nero
122
134
Bargna, I. (2020). Pratiche culturali dell'archivio / Cultural Practices of the Archive. In B. Zanelli (a cura di), Biomega Multiverso (Reader) (pp. 122-134). Roma : Produzioni Nero.
none
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10281/263746
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