Guardando alla storia del fallimento emerge una doppia anima dell'istituto che ne mette in risalto, a volte, la funzione punitiva, di procedimento volto a costituire un deterrente nei confronti di condotte spregiudicate e a isolare il debitore insolvente dalla comunità; altre volte, quella di consentire, nel rispetto del principio di parità di trattamento e attraverso un’esecuzione collettiva, la distribuzione del residuo patrimonio del debitore che, suo malgrado, non ha avuto successo nell’esercizio dell’attività di impresa, ha cioè, appunto, “fallito”. Tuttavia, analizzando l’evoluzione delle norme che regolano l’insolvenza degli imprenditori e dei debitori comuni, si può notare come l’accezione negativa da sempre associata al debito si è gradualmente affievolita per lasciare il posto a una visione dello stesso per così dire “fisiologica”, quale elemento naturale sia della fattispecie “attività di impresa” sia, più in generale, della vita umana. L'articolo ripercorre i punti di snodo di tale processo evolutivo, dimostrando come le crisi economiche dell’ultimo decennio abbiano indotto il legislatore a dare vita a un sistema di regole che dovrebbe incoraggiare l’emersione precoce dello stato di crisi aziendale, al fine di ridurne quanto più possibile le conseguenze negative sull’impresa e sui relativi stakeholders
Nuzzo, G. (2016). Le conseguenze personali del fallimento dalla “morte civile” alla politica della seconda opportunità. In A. Landi A. Petrucci (a cura di), Pluralismo delle fonti e metamorfosi del diritto soggettivo nella storia della cultura giuridica. I. La prospettiva storica (pp. 215-235). ITA : Giappichelli.
Le conseguenze personali del fallimento dalla “morte civile” alla politica della seconda opportunità
Nuzzo, G
2016
Abstract
Guardando alla storia del fallimento emerge una doppia anima dell'istituto che ne mette in risalto, a volte, la funzione punitiva, di procedimento volto a costituire un deterrente nei confronti di condotte spregiudicate e a isolare il debitore insolvente dalla comunità; altre volte, quella di consentire, nel rispetto del principio di parità di trattamento e attraverso un’esecuzione collettiva, la distribuzione del residuo patrimonio del debitore che, suo malgrado, non ha avuto successo nell’esercizio dell’attività di impresa, ha cioè, appunto, “fallito”. Tuttavia, analizzando l’evoluzione delle norme che regolano l’insolvenza degli imprenditori e dei debitori comuni, si può notare come l’accezione negativa da sempre associata al debito si è gradualmente affievolita per lasciare il posto a una visione dello stesso per così dire “fisiologica”, quale elemento naturale sia della fattispecie “attività di impresa” sia, più in generale, della vita umana. L'articolo ripercorre i punti di snodo di tale processo evolutivo, dimostrando come le crisi economiche dell’ultimo decennio abbiano indotto il legislatore a dare vita a un sistema di regole che dovrebbe incoraggiare l’emersione precoce dello stato di crisi aziendale, al fine di ridurne quanto più possibile le conseguenze negative sull’impresa e sui relativi stakeholdersFile | Dimensione | Formato | |
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