Si parte dalla fine: la constatazione, frutto delle numerose ricerche condotte in questo campo, che la rappresentazione mediatica dell’immigrazione, e di conseguenza la sua immagine pubblica, vede solo un “problema”, che ha a che vedere con l’alterità, l’illegittimità e in definitiva con un’essenza naturalmente criminale. Cercare nel funzionamento dei media le ragioni di questa rappresentazione, come fa molta letteratura, è certamente utile ma non sufficiente a comprendere la natura profonda di questo senso comune, che funziona come un vero e proprio “regime di verità”. Vedere nei vantaggi tattici garantiti dal discorso di inimicizia agli imprenditori politici della paura l’altra possibile causa del nostro “razzismo democratico” è altrettanto legittimo, ma ancora una volta parziale. Il tentativo di questo contributo è quello di rintracciare nelle pratiche di controllo della “Fortezza Europa”, nelle politiche di esclusione dei nuovi paria, nelle indagini e nei provvedimenti ispirati dall’anti-terrorismo, obbligatoriamente “islamico”, le vere matrici del linguaggio che volenti o nolenti usiamo per parlare di immigrazione. Le categorie, gli argomenti, le immagini e le narrative disponibili riflettono gli imperativi organizzativi delle istituzione preposte al controllo del fenomeno, con le loro priorità, sguardi, definizioni. Ai mezzi di informazione rimane in questa ricostruzione l’importante ruolo del traduttore: da pratiche di controllo – raccontate, giustificate, naturalizzate - ai costrutti e le tipizzazioni che diventano l’“archivio” al quale attingiamo nella vita quotidiana.
Maneri, M. (2010). Los medios de comunicación y la guerra contra las migraciones. In J.A. Brandariz García, S. Palidda (a cura di), Criminalización racista de los migrantes en Europa (pp. 33-56). Grenada : Comares.
Los medios de comunicación y la guerra contra las migraciones
MANERI, MARCELLO
2010
Abstract
Si parte dalla fine: la constatazione, frutto delle numerose ricerche condotte in questo campo, che la rappresentazione mediatica dell’immigrazione, e di conseguenza la sua immagine pubblica, vede solo un “problema”, che ha a che vedere con l’alterità, l’illegittimità e in definitiva con un’essenza naturalmente criminale. Cercare nel funzionamento dei media le ragioni di questa rappresentazione, come fa molta letteratura, è certamente utile ma non sufficiente a comprendere la natura profonda di questo senso comune, che funziona come un vero e proprio “regime di verità”. Vedere nei vantaggi tattici garantiti dal discorso di inimicizia agli imprenditori politici della paura l’altra possibile causa del nostro “razzismo democratico” è altrettanto legittimo, ma ancora una volta parziale. Il tentativo di questo contributo è quello di rintracciare nelle pratiche di controllo della “Fortezza Europa”, nelle politiche di esclusione dei nuovi paria, nelle indagini e nei provvedimenti ispirati dall’anti-terrorismo, obbligatoriamente “islamico”, le vere matrici del linguaggio che volenti o nolenti usiamo per parlare di immigrazione. Le categorie, gli argomenti, le immagini e le narrative disponibili riflettono gli imperativi organizzativi delle istituzione preposte al controllo del fenomeno, con le loro priorità, sguardi, definizioni. Ai mezzi di informazione rimane in questa ricostruzione l’importante ruolo del traduttore: da pratiche di controllo – raccontate, giustificate, naturalizzate - ai costrutti e le tipizzazioni che diventano l’“archivio” al quale attingiamo nella vita quotidiana.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.