Il corpo costituisce una dimensione materiale e complessa che appare e scompare lungo la storia del pensiero filosofico, ma che indubbiamente domina la scena delle tecniche e delle pratiche educative, di cura e di coercizione, di addestramento e di supplizio, in stretta correlazione con i dispositivi di esercizio del potere. Se sul piano della riflessione filosofica il corpo è marginalizzato nella sua accezione materiale, mentre viene “colonizzato” da un logos ordinante e noetico che ne valorizza la funzione contenitiva e custodiale, esso è fin dall’antichità oggetto di attenzioni scientifiche ed etiche funzionali all’organizzazione politica e sociale. Sul corpo, allora, si producono interessanti metafore che ne giocano l’ambivalenza di fondo, attraverso un rapporto di inclusione/esclusione rispetto ai discorsi della razionalità. In questo libro ci soffermiamo su quattro possibili figure del corpo che attraversano la storia del pensiero e delle pratiche formative in Occidente. La prima immagine/metafora che rimanda direttamente alla visione logocentrica della filosofia antica è quella del corpo-animale: l’antichità è portatrice dell’idea “scientifica” di un corpo come materiale inerte, cavità oggettiva attraversata da fluidi e canali che ne ordinano il funzionamento secondo un principio di razionalità superiore. Il corpo non ha una propria autonomia vitale ma è prevalentemente considerato “materia carnea” passiva necessitante di un principio governatore che, sia in Platone che in Aristotele, viene configurandosi nel principio vivificatore del logistikon; è propriamente tale principio che permette all’uomo di trascendere la propria “animalità” corporea poiché attribuisce al Soggetto il luogo del pensiero e della parola. Uno sviluppo interessante di questa rappresentazione sul versante delle pratiche riferite al corpo è rintracciabile nell’analisi foucaultiana su L’uso dei piaceri, da cui scaturisce una modalità di problematizzazione nella gestione dei desideri e delle pratiche sessuali, che ben al di là di un’esigenza di carattere morale, evidenzia la necessità dei greci di regolamentare l’uso dei piaceri sulla base di criteri corrispondenti ad elementi razionali di tipo sociale, economico e medico. Nell’analisi di Foucault emergono due concetti decisivi che rimandano esattamente alla metafora del corpo-animale, quali l’esercizio della “padronanza” e la discorsività razionale dell’ “anima temperante”. Questa visione permette di ottenere una raffigurazione dell’organismo vivente in cui l’anima razionale dominante trova la propria allocazione nella psyche, influenzando, come suggerisce Cavarero, le successive metafore organologiche che hanno assunto il corpo come paradigma di ordine naturale su cui modellare l’ordine politico. La testa deve così il suo ruolo di privilegio e di centralità nella successiva metaforizzazione politica del corpo, alle teorie cosmogoniche suggerite dall’impianto della filosofia greca. Questa origine metaforica ha determinato una corrispondenza tra allocazione corporea ed esercizio della sovranità, della ragione e del comando, trovando nella testa la sua sede naturale. La seconda immagine/metafora rimanda invece al paradigma della modernità che si apre con il razionalismo meccanicista di Descartes: il corpo-automa. Con la prospettiva meccanicista non solo si riafferma la subordinazione della materia, pur riconoscendone l’importanza scientifica nello studiarne potenza ed effetti, ma viene a giustificarsi l’espulsione della dimensione esistenziale dal corpo in quanto organismo meccanico per cui tutte le funzioni biologiche conseguono nella macchina del corpo dalla disposizione dei suoi organi, così come in un orologio o in un automa conseguono dai contrappesi e dalle ruote. L’immagine del corpo automa è assolutamente funzionale al paradigma scientifico del corpo analizzabile e manipolabile: da un lato è la visione anatomo-metafisica della parcellizzazione e dell’esplorazione del corpo che è costitutiva della medicina moderna; dall’altro lato è la visione tecnico-politica della docilità e dell’utilità del corpo che è costitutiva delle scienze umane. La terza immagine/metafora rimanda in qualche modo al mito prometeico che ha caratterizzato lo sviluppo delle scienze nel secolo scorso e che è stato magnificamente descritto nel “Frankenstein” di Mary Shelley, ed è riassumibile nell’immagine del corpo anatomico. Il corpo fatto a pezzi, oggettivato, tagliato, ricucito, trapiantato, è il prodotto di una scienza medica che come detto conosce la sua piena affermazione a partire dalla visione anatomo-metafisica. La medicina contemporanea si presenta oggi come disciplina scientifica il cui sapere è fortemente frammentato e specializzato, portatrice di una forte esigenza di oggettivazione del corpo del paziente per evitarne “rischiose” implicazioni affettive ed emotive. L’immagine della creatura del dott. Victor Frankenstein rievoca in modo straordinario elementi che ritroviamo in tutta la loro attualità negli sviluppi pratici delle ricerche scientifiche più recenti. La quarta immagine è peculiarmente legata al nostro tempo, e si gioca sul campo ambiguo della contaminazione del corpo con il metallo e con il silicio: ed è rintracciabile nell’immagine del cyborg. In una sorta di proiezione fantascientifica dell’orrenda opera di Victor Frankenstein, il cybercorpo caratterizza l’estrema tesi di un futuro tecnologico che ha già invaso la realtà attraverso gli artefatti e le protesi che interagiscono con le funzioni del corpo biologico per superarne i limiti fisici. L’immagine del cyborg, al di là della stretta definizione di organismo cibernetico, rinvia quindi al corpo tecnologico, un corpo sostanzialmente “colonizzato” dalle micro, bio, nano-tecnologie, che ne ridisegnano i confini, ne esplorano l’interno fino a rendere possibile la visione dei suoi ultimi recessi. Gli strumenti che rendono possibile il “miracolo” di svelare l’interno del corpo umano, realizzando il sogno cartesiano di descriverne minuziosamente il funzionamento, sono, per ognuno di noi che vive nel ricco Occidente, la banalità del quotidiano. L’incorporazione della tecnologia, costituisce da un punto di vista cronologico solo l’ultima delle fratture epistemologiche, che incontriamo nella storia del pensiero Occidentale. Il libro si chiude con una riflessione sul rapporto tra mente e corpo nell’incrocio possibile tra la prospettiva fenomenologico esistenziale di Merleau-Ponty e le scienze cognitive. In effetti, sul piano della produzione e costruzione della conoscenza, l’incorporazione della tecnologia rinvia ad un possibile superamento della dicotomia tra mente e corpo, che ha contrassegnato per oltre due millenni il sapere filosofico e scientifico. Nel momento in cui la tecnologia del virtuale scopre la dimensione corporea, non facendo più dipendere la produzione del sapere unicamente dalla modalità rappresentazionale della mente, ma investendo sulla modalità percettivo-sensoriale legata al corpo e sugli effetti cognitivi che ne derivano, si apre la possibilità di percorrere quella “via di mezzo della conoscenza” a cui allude Francisco J. Varela con la proposta di un approccio enattivo alla cognizione.
Barone, P. (2004). L'animale, l'automa, il cyborg. Figurazioni del corpo nei saperi e nelle pratiche educative. Milano : Ghibli-Mimesis.
L'animale, l'automa, il cyborg. Figurazioni del corpo nei saperi e nelle pratiche educative
BARONE, PIERANGELO
2004
Abstract
Il corpo costituisce una dimensione materiale e complessa che appare e scompare lungo la storia del pensiero filosofico, ma che indubbiamente domina la scena delle tecniche e delle pratiche educative, di cura e di coercizione, di addestramento e di supplizio, in stretta correlazione con i dispositivi di esercizio del potere. Se sul piano della riflessione filosofica il corpo è marginalizzato nella sua accezione materiale, mentre viene “colonizzato” da un logos ordinante e noetico che ne valorizza la funzione contenitiva e custodiale, esso è fin dall’antichità oggetto di attenzioni scientifiche ed etiche funzionali all’organizzazione politica e sociale. Sul corpo, allora, si producono interessanti metafore che ne giocano l’ambivalenza di fondo, attraverso un rapporto di inclusione/esclusione rispetto ai discorsi della razionalità. In questo libro ci soffermiamo su quattro possibili figure del corpo che attraversano la storia del pensiero e delle pratiche formative in Occidente. La prima immagine/metafora che rimanda direttamente alla visione logocentrica della filosofia antica è quella del corpo-animale: l’antichità è portatrice dell’idea “scientifica” di un corpo come materiale inerte, cavità oggettiva attraversata da fluidi e canali che ne ordinano il funzionamento secondo un principio di razionalità superiore. Il corpo non ha una propria autonomia vitale ma è prevalentemente considerato “materia carnea” passiva necessitante di un principio governatore che, sia in Platone che in Aristotele, viene configurandosi nel principio vivificatore del logistikon; è propriamente tale principio che permette all’uomo di trascendere la propria “animalità” corporea poiché attribuisce al Soggetto il luogo del pensiero e della parola. Uno sviluppo interessante di questa rappresentazione sul versante delle pratiche riferite al corpo è rintracciabile nell’analisi foucaultiana su L’uso dei piaceri, da cui scaturisce una modalità di problematizzazione nella gestione dei desideri e delle pratiche sessuali, che ben al di là di un’esigenza di carattere morale, evidenzia la necessità dei greci di regolamentare l’uso dei piaceri sulla base di criteri corrispondenti ad elementi razionali di tipo sociale, economico e medico. Nell’analisi di Foucault emergono due concetti decisivi che rimandano esattamente alla metafora del corpo-animale, quali l’esercizio della “padronanza” e la discorsività razionale dell’ “anima temperante”. Questa visione permette di ottenere una raffigurazione dell’organismo vivente in cui l’anima razionale dominante trova la propria allocazione nella psyche, influenzando, come suggerisce Cavarero, le successive metafore organologiche che hanno assunto il corpo come paradigma di ordine naturale su cui modellare l’ordine politico. La testa deve così il suo ruolo di privilegio e di centralità nella successiva metaforizzazione politica del corpo, alle teorie cosmogoniche suggerite dall’impianto della filosofia greca. Questa origine metaforica ha determinato una corrispondenza tra allocazione corporea ed esercizio della sovranità, della ragione e del comando, trovando nella testa la sua sede naturale. La seconda immagine/metafora rimanda invece al paradigma della modernità che si apre con il razionalismo meccanicista di Descartes: il corpo-automa. Con la prospettiva meccanicista non solo si riafferma la subordinazione della materia, pur riconoscendone l’importanza scientifica nello studiarne potenza ed effetti, ma viene a giustificarsi l’espulsione della dimensione esistenziale dal corpo in quanto organismo meccanico per cui tutte le funzioni biologiche conseguono nella macchina del corpo dalla disposizione dei suoi organi, così come in un orologio o in un automa conseguono dai contrappesi e dalle ruote. L’immagine del corpo automa è assolutamente funzionale al paradigma scientifico del corpo analizzabile e manipolabile: da un lato è la visione anatomo-metafisica della parcellizzazione e dell’esplorazione del corpo che è costitutiva della medicina moderna; dall’altro lato è la visione tecnico-politica della docilità e dell’utilità del corpo che è costitutiva delle scienze umane. La terza immagine/metafora rimanda in qualche modo al mito prometeico che ha caratterizzato lo sviluppo delle scienze nel secolo scorso e che è stato magnificamente descritto nel “Frankenstein” di Mary Shelley, ed è riassumibile nell’immagine del corpo anatomico. Il corpo fatto a pezzi, oggettivato, tagliato, ricucito, trapiantato, è il prodotto di una scienza medica che come detto conosce la sua piena affermazione a partire dalla visione anatomo-metafisica. La medicina contemporanea si presenta oggi come disciplina scientifica il cui sapere è fortemente frammentato e specializzato, portatrice di una forte esigenza di oggettivazione del corpo del paziente per evitarne “rischiose” implicazioni affettive ed emotive. L’immagine della creatura del dott. Victor Frankenstein rievoca in modo straordinario elementi che ritroviamo in tutta la loro attualità negli sviluppi pratici delle ricerche scientifiche più recenti. La quarta immagine è peculiarmente legata al nostro tempo, e si gioca sul campo ambiguo della contaminazione del corpo con il metallo e con il silicio: ed è rintracciabile nell’immagine del cyborg. In una sorta di proiezione fantascientifica dell’orrenda opera di Victor Frankenstein, il cybercorpo caratterizza l’estrema tesi di un futuro tecnologico che ha già invaso la realtà attraverso gli artefatti e le protesi che interagiscono con le funzioni del corpo biologico per superarne i limiti fisici. L’immagine del cyborg, al di là della stretta definizione di organismo cibernetico, rinvia quindi al corpo tecnologico, un corpo sostanzialmente “colonizzato” dalle micro, bio, nano-tecnologie, che ne ridisegnano i confini, ne esplorano l’interno fino a rendere possibile la visione dei suoi ultimi recessi. Gli strumenti che rendono possibile il “miracolo” di svelare l’interno del corpo umano, realizzando il sogno cartesiano di descriverne minuziosamente il funzionamento, sono, per ognuno di noi che vive nel ricco Occidente, la banalità del quotidiano. L’incorporazione della tecnologia, costituisce da un punto di vista cronologico solo l’ultima delle fratture epistemologiche, che incontriamo nella storia del pensiero Occidentale. Il libro si chiude con una riflessione sul rapporto tra mente e corpo nell’incrocio possibile tra la prospettiva fenomenologico esistenziale di Merleau-Ponty e le scienze cognitive. In effetti, sul piano della produzione e costruzione della conoscenza, l’incorporazione della tecnologia rinvia ad un possibile superamento della dicotomia tra mente e corpo, che ha contrassegnato per oltre due millenni il sapere filosofico e scientifico. Nel momento in cui la tecnologia del virtuale scopre la dimensione corporea, non facendo più dipendere la produzione del sapere unicamente dalla modalità rappresentazionale della mente, ma investendo sulla modalità percettivo-sensoriale legata al corpo e sugli effetti cognitivi che ne derivano, si apre la possibilità di percorrere quella “via di mezzo della conoscenza” a cui allude Francisco J. Varela con la proposta di un approccio enattivo alla cognizione.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.