Le molteplici emergenze (ambientali, sanitarie ecc.) che contraddistinguono la contemporaneità, rendono sempre più evidente che l’essere umano vive in interconnessione con l’intero ecosistema ed è esso stesso frutto di interconnessioni, abitato e attraversato da alterità viventi e non, che ne garantiscono la sopravvivenza sul Pianeta. Tale condizione messa in ombra, nel pensiero occidentale, dal binarismo natura-cultura e dalle logiche oppositive che da esso prendono origine, è esperita spesso senza consapevolezza, nell’illusione, sempre più disattesa, di un’autosufficienza e superiorità dell’anthropos, con un’atrofia dell’esperienza, depotenziata delle dimensioni di confronto e reciproco scambio con le alterità. Da un punto di vista epistemologico, infatti, tale approccio si è tradotto in un riduzionismo nelle categorie interpretative della realtà, con uno slittamento verso la razionalità tecnica a detrimento dell’originalità dell’esperienza degli individui, con non poche conseguenze etiche e politiche. Di fronte a un tale scenario e alla deriva individualista a esso sottesa, non basta sensibilizzare la comunità reiterando dinamiche di trasmissione verticale di conoscenze ma è importante attivare contesti che consentano agli individui di sperimentare e prendere coscienza delle interconnessioni con l’altro da sé. Ciò non implica, tanto (e solo), generare nuove connessioni, quanto piuttosto sostare sull’esperienza per apprendere a cogliere quelle già esistenti. Questa sfida si gioca in prima linea in campo educativo, in un’ottica di lifelong learning. A partire da queste considerazioni, il contributo intende approfondire il ruolo del sapere esperienziale nella ricerca e nelle pratiche per promuovere processi trasformativi. Tale sapere, in quanto radicato nelle pratiche, costituisce un prezioso anello di congiunzione tra teoria e prassi, che può essere valorizzato nella riduzione del gap spesso presente tra queste dimensioni, offrendo informazioni “dal campo”, connesse all’esperienza degli individui. Il riconoscimento e il coinvolgimento dell’esperienza diretta di soggetti e comunità ne rilancia la responsabilità, intesa come rispondere di sé e all’altro, rispetto alla gestione della “casa comune” e dei reciproci interessi, favorendo processi di empowerment. Il carattere situato del sapere esperienziale consente, inoltre, di ricostruire l’intreccio tra componenti individuali, sociali e materiali che in uno specifico contesto producono conoscenza e “formano” i soggetti. Individuare questi legami consente di problematizzarli per (ri) generarli e riconfigurarli creativamente, al fine di costruire alleanze e processi di apprendimento cooperativo e trasformativo tra gli attori coinvolti. Si tratta, dunque, di riconoscere l’importanza di un’ecologia dei saperi, superando una gerarchizzazione degli stessi e riconoscendone la dimensione sistemica e dinamica, per innescare nuovi processi di pensiero e comportamenti generatori di nuovi orizzonti culturali.
Cucuzza, G. (2024). Apprendere dall’esperienza per (ri)generare connessioni e attivare pratiche trasformative. Intervento presentato a: Convegno Nazionale SIPED "Ricerca, servizi, politiche territoriali pedagogiche. Trasformative, innovative, emancipative. Seminario Pratiche educative trasformative e processi emancipativi", Siena.
Apprendere dall’esperienza per (ri)generare connessioni e attivare pratiche trasformative
Cucuzza, G
2024
Abstract
Le molteplici emergenze (ambientali, sanitarie ecc.) che contraddistinguono la contemporaneità, rendono sempre più evidente che l’essere umano vive in interconnessione con l’intero ecosistema ed è esso stesso frutto di interconnessioni, abitato e attraversato da alterità viventi e non, che ne garantiscono la sopravvivenza sul Pianeta. Tale condizione messa in ombra, nel pensiero occidentale, dal binarismo natura-cultura e dalle logiche oppositive che da esso prendono origine, è esperita spesso senza consapevolezza, nell’illusione, sempre più disattesa, di un’autosufficienza e superiorità dell’anthropos, con un’atrofia dell’esperienza, depotenziata delle dimensioni di confronto e reciproco scambio con le alterità. Da un punto di vista epistemologico, infatti, tale approccio si è tradotto in un riduzionismo nelle categorie interpretative della realtà, con uno slittamento verso la razionalità tecnica a detrimento dell’originalità dell’esperienza degli individui, con non poche conseguenze etiche e politiche. Di fronte a un tale scenario e alla deriva individualista a esso sottesa, non basta sensibilizzare la comunità reiterando dinamiche di trasmissione verticale di conoscenze ma è importante attivare contesti che consentano agli individui di sperimentare e prendere coscienza delle interconnessioni con l’altro da sé. Ciò non implica, tanto (e solo), generare nuove connessioni, quanto piuttosto sostare sull’esperienza per apprendere a cogliere quelle già esistenti. Questa sfida si gioca in prima linea in campo educativo, in un’ottica di lifelong learning. A partire da queste considerazioni, il contributo intende approfondire il ruolo del sapere esperienziale nella ricerca e nelle pratiche per promuovere processi trasformativi. Tale sapere, in quanto radicato nelle pratiche, costituisce un prezioso anello di congiunzione tra teoria e prassi, che può essere valorizzato nella riduzione del gap spesso presente tra queste dimensioni, offrendo informazioni “dal campo”, connesse all’esperienza degli individui. Il riconoscimento e il coinvolgimento dell’esperienza diretta di soggetti e comunità ne rilancia la responsabilità, intesa come rispondere di sé e all’altro, rispetto alla gestione della “casa comune” e dei reciproci interessi, favorendo processi di empowerment. Il carattere situato del sapere esperienziale consente, inoltre, di ricostruire l’intreccio tra componenti individuali, sociali e materiali che in uno specifico contesto producono conoscenza e “formano” i soggetti. Individuare questi legami consente di problematizzarli per (ri) generarli e riconfigurarli creativamente, al fine di costruire alleanze e processi di apprendimento cooperativo e trasformativo tra gli attori coinvolti. Si tratta, dunque, di riconoscere l’importanza di un’ecologia dei saperi, superando una gerarchizzazione degli stessi e riconoscendone la dimensione sistemica e dinamica, per innescare nuovi processi di pensiero e comportamenti generatori di nuovi orizzonti culturali.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.