Ferenczi “educatore”? Si tratta di una domanda forse un po’ provocatoria e comunque di una domanda “al limite”. Può sembrare forzato addentrarsi nell’opera di uno dei grandi psicoanalisti della prima generazione - allievo tra i più brillanti di Freud e suo stretto collaboratore per cogliere il portato educativo del suo pensiero. Tuttavia è oramai patrimonio consolidato nella cultura psicoanalitica- nel processo di rivisitazione della sua opera che si è dipanato nel corso degli ultimi decenni- che quest’uomo dalla forte carica umana, dal temperamento passionale e dalla acuta sensibilità, sia una figura eccedente, di cui è difficile ritagliare il profilo scientifico per consegnarlo alla sola tradizione psicoanalitica. Il pensiero di Ferenczi fu, allora, un pensiero, giudicato, al limite. Troppo audace e “sperimentale” per non essere criticato e guardato con sospetto anche dallo stesso Freud che ne condannerà la temerarietà clinica, tanto che le sue opere resteranno, per oltre sessant’anni, nel dimenticatoio, e conosceranno, solo a partire dalla metà degli anni ottanta, una nuova rinascita. La sua opera vasta, poliedrica e a-sistematica permette di leggere in controluce il rapporto tra pedagogia e psicoanalisi, proprio agli albori del suo percorso di definizione scientifica. Clinico audace e temerario, ricercatore che interroga in profondità le tecniche messe in gioco nella relazione clinica, conoscitore profondo dell’ispirazione spirituale dell’infanzia e attento osservatore dei suoi abusi, Ferenczi è un testimone di una pratica di cura che interessa quanti, a diverso titolo, professionalmente e non, si dedicano a una relazione di cura. Le sue riflessioni sul potere del curante ci invitano a riflettere sulla posizione etica di chi svolge una professione d’aiuto e la sua parola implicata che si schiera dalla parte delle sofferenze dei pazienti conserva, a tutt’oggi, una forza straordinaria ed esercita un importante valore critico nei confronti di pratiche de-vitalizzate che non conservino la traccia dell’esperienza incarnata di chi le mette in atto.
ULIVIERI STIOZZI RIDOLFI, S. (2013). Sàndor Ferenczi "educatore". Eredità pedagogica e sensibilità clinica. Milano : FrancoAngeli.
Sàndor Ferenczi "educatore". Eredità pedagogica e sensibilità clinica
ULIVIERI STIOZZI RIDOLFI, STEFANIA
2013
Abstract
Ferenczi “educatore”? Si tratta di una domanda forse un po’ provocatoria e comunque di una domanda “al limite”. Può sembrare forzato addentrarsi nell’opera di uno dei grandi psicoanalisti della prima generazione - allievo tra i più brillanti di Freud e suo stretto collaboratore per cogliere il portato educativo del suo pensiero. Tuttavia è oramai patrimonio consolidato nella cultura psicoanalitica- nel processo di rivisitazione della sua opera che si è dipanato nel corso degli ultimi decenni- che quest’uomo dalla forte carica umana, dal temperamento passionale e dalla acuta sensibilità, sia una figura eccedente, di cui è difficile ritagliare il profilo scientifico per consegnarlo alla sola tradizione psicoanalitica. Il pensiero di Ferenczi fu, allora, un pensiero, giudicato, al limite. Troppo audace e “sperimentale” per non essere criticato e guardato con sospetto anche dallo stesso Freud che ne condannerà la temerarietà clinica, tanto che le sue opere resteranno, per oltre sessant’anni, nel dimenticatoio, e conosceranno, solo a partire dalla metà degli anni ottanta, una nuova rinascita. La sua opera vasta, poliedrica e a-sistematica permette di leggere in controluce il rapporto tra pedagogia e psicoanalisi, proprio agli albori del suo percorso di definizione scientifica. Clinico audace e temerario, ricercatore che interroga in profondità le tecniche messe in gioco nella relazione clinica, conoscitore profondo dell’ispirazione spirituale dell’infanzia e attento osservatore dei suoi abusi, Ferenczi è un testimone di una pratica di cura che interessa quanti, a diverso titolo, professionalmente e non, si dedicano a una relazione di cura. Le sue riflessioni sul potere del curante ci invitano a riflettere sulla posizione etica di chi svolge una professione d’aiuto e la sua parola implicata che si schiera dalla parte delle sofferenze dei pazienti conserva, a tutt’oggi, una forza straordinaria ed esercita un importante valore critico nei confronti di pratiche de-vitalizzate che non conservino la traccia dell’esperienza incarnata di chi le mette in atto.File | Dimensione | Formato | |
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