Il saggio, dedicato al processo svoltosi a Milano nel 1630, che vide protagonisti Guglielmo Piazza e Gian Giacomo Mora, accusati di aver diffuso la peste nella città mediante unzioni, ripercorre le vicende che condussero alla loro condanna avvalendosi delle opposte letture offerte da Pietro Verri e Alessandro Manzoni. Se per il primo, causa di uno dei più tragici errori della storia della giustizia fu l’iniquità delle regole processuali e l’operato della criminalistica di diritto comune, per il secondo la responsabilità era da imputare esclusivamente all’operato dei magistrati. Verri, da illuminista, mostrava illimitata fiducia nel primato della legge e della ragione; Manzoni, un secolo dopo, riteneva che l’educazione morale dell’uomo fosse l’unica risposta possibile ad ogni forma di illegalità. La disamina del processo, dominato dal rito inquisitorio e dal sistema di prove legali, consente di verificare se la condanna (pur a fronte di un capo d’accusa pretestuoso) fu pronunciata nel rispetto delle regole processuali (e fu quindi ‘giusta’ secondo le dinamiche inquisitorie), o, se al contrario, fu determinata da volontaria e dolosa devianza da consolidate prassi giudiziarie. Nel particolare clima politico del tempo, con una pressante pubblica opinione a cui rendere conto, venne scritta una pagina cupa di diritto: ancora oggi, la lettura delle Osservazioni sulla tortura e della Colonna infame non lascia indifferenti e pone inquietanti interrogativi al giurista di oggi.
Garlati, L. (2011). "Colpevoli di un delitto che non c'era". Il processo agli untori nella lettura di Verri e di Manzoni. LA CORTE D'ASSISE, 1(2-3), 395-449.
"Colpevoli di un delitto che non c'era". Il processo agli untori nella lettura di Verri e di Manzoni
GARLATI, LOREDANA
2011
Abstract
Il saggio, dedicato al processo svoltosi a Milano nel 1630, che vide protagonisti Guglielmo Piazza e Gian Giacomo Mora, accusati di aver diffuso la peste nella città mediante unzioni, ripercorre le vicende che condussero alla loro condanna avvalendosi delle opposte letture offerte da Pietro Verri e Alessandro Manzoni. Se per il primo, causa di uno dei più tragici errori della storia della giustizia fu l’iniquità delle regole processuali e l’operato della criminalistica di diritto comune, per il secondo la responsabilità era da imputare esclusivamente all’operato dei magistrati. Verri, da illuminista, mostrava illimitata fiducia nel primato della legge e della ragione; Manzoni, un secolo dopo, riteneva che l’educazione morale dell’uomo fosse l’unica risposta possibile ad ogni forma di illegalità. La disamina del processo, dominato dal rito inquisitorio e dal sistema di prove legali, consente di verificare se la condanna (pur a fronte di un capo d’accusa pretestuoso) fu pronunciata nel rispetto delle regole processuali (e fu quindi ‘giusta’ secondo le dinamiche inquisitorie), o, se al contrario, fu determinata da volontaria e dolosa devianza da consolidate prassi giudiziarie. Nel particolare clima politico del tempo, con una pressante pubblica opinione a cui rendere conto, venne scritta una pagina cupa di diritto: ancora oggi, la lettura delle Osservazioni sulla tortura e della Colonna infame non lascia indifferenti e pone inquietanti interrogativi al giurista di oggi.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.