Il modello di differenziazione delle competenze delle Comunidades autonomas spagnole, previsto nel Titolo VIII della Costituzione del 1978, è spesso stato utilizzato come riferimento nella predisposizione del nostro sistema di autonomia differenziata previsto, ma ad oggi mai concretamente sperimentato, dal nuovo articolo 116, co. 3 Cost. italiana; molti presumevano e auspicavano, inoltre, che tale modello di autonomia differenziata potesse fornire un esempio concreto anche in fase di attivazione dell’omonimo istituto italiano. Questi auspici, a distanza di quasi 20 anni dall’emanazione della Riforma del Titolo V, sembrano però essere stati avventati: la formula definitiva dell’art. 116 co. 3 n.t. si discosta infatti non poco, in definitiva, dal modello spagnolo. Le Comunidades spagnole accedono infatti alla differenziazione con un meccanismo generalizzato, nel quale sono direttamente i singoli statuti di autonomia a recare, come contenuto essenziale, l’elenco delle “competenze assunte nel quadro stabilito dalla Costituzione” ; la scelta delle materie è dunque demandata all’elaborazione dello Statuto di autonomia. Nell’ordinamento italiano, viceversa, la Costituzione attribuisce automaticamente alle Regioni ordinarie una rosa di competenze, lasciando in via eventuale la possibilità di ottenerne ulteriori attivando la procedura di cui all’art. 116 co. 3 Cost. Per questo motivo, in Spagna, le prime differenziazioni si sono presentate già con l’emanazione dei primi Statuti di autonomia, nel 1981; mentre in Italia, a distanza di quasi 20 anni dall’emanazione della Riforma costituzionale, non è ancora stata conclusa positivamente alcuna procedura di differenziazione. Vi è in comune tra i due modelli, invece, il necessario passaggio parlamentare della legge di recepimento della differenziazione; nel sistema spagnolo, tuttavia, manca qualsiasi riferimento a una previa fase di trattative per la predisposizione del contenuto dell’atto di differenziazione, presente invece in quello italiano, dove Stato e Regione devono concludere un’intesa in tal senso. L’elenco delle materie richiedibili dalle Comunidades è previsto dall’art. 148 Cost. spagnola; si tratta di competenze esclusive, di norma comprensive dei profili normativi e amministrativi. È invece opinione comune della dottrina che l’art. 116 co. 3 Cost. italiana consenta una maggiore modulazione nella scelta delle competenze, che possono essere assunte dalle Regioni in via concorrente o in via esclusiva, integralmente o solo nel profilo amministrativo. L’elenco di competenze incamerabili dalle Comunidades è inoltre completato dalla previsione per cui “le materie non espressamente attribuite da questa costituzione allo Stato potranno attribuirsi alle Comunità Autonome in virtù dei rispettivi Statuti” , ma solo “dopo il decorso di cinque anni” ; tale limite temporale non varrebbe però qualora la Comunità autonoma percorresse la procedura speciale dettata dall’art. 151 Cost. spagnola. Questa dualità di procedura trova le proprie radici nella genesi storica della democrazia spagnola: nella delicatissima transizione da un regime dittatoriale allo Stato democratico si dovette predisporre un sistema di differenziazione che permettesse un equilibrato sviluppo dell’autonomia in territori diversissimi tra loro, permettendo alle c.d. nacionalidades, i territori “costituenti entità regionali storiche” , di addivenire subito a forme di autonomia più ampie rispetto al resto della Spagna. Questo condusse, con la firma dei primi patti autonomici nel 1981, alla creazione di regioni “di primo livello” e “di secondo livello”: vennero concesse alle prime alcune ulteriori competenze importanti (sanità, educazione, reti televisive locali), mentre le seconde intrapresero il procedimento ordinario, con competenze più limitate. Una simile situazione non sussiste nell’attuale scenario socio-politico italiano; tuttavia, le profonde differenze socio-economiche tra Regioni del Nord e quelle del Sud del nostro Paese suggeriscono un approccio graduale nella concessione di competenze alle Regioni ordinarie, sulla base di quanto fatto in Spagna nel distinguere tra Comunità di primo livello e di secondo livello. Questa distinzione si è peraltro decisamente affievolita col tempo, per via di un’opera di progressivo livellamento delle competenze concesse a tutte le comunità: lo testimoniano le revisioni dei patti autonomici intervenute negli anni 90’, che, con sporadiche eccezioni , hanno attivato un processo inesorabile di omogeneizzazione verso l’alto delle competenze comunitarie. Un simile rischio è ipotizzabile anche per il processo di attivazione del regionalismo differenziato in Italia: come testimoniato dalle trattative in atto tra alcune Regioni del Nord e lo Stato , forte è il rischio di intese-fotocopia, spesso concertate tra Stato e diverse Regioni contemporaneamente e poco rispettose del principio di differenziazione delle competenze sulla base delle peculiarità dei territori coinvolti. Non bisogna tuttavia dimenticare che molto positivo è stato l’effetto di trascinamento che le Comunità spagnole più avanzate, arrivate prima alla gestione di alcune competenze, hanno avuto sulle altre Comunità, in un processo elastico che, se si verificasse in Italia, potrebbe portare ad una maggiore responsabilizzazione delle Regioni in sofferenza, spinte dall’iniziativa di quelle più avanzate. L’omogeneizzazione tra le comunità ha però avuto un effetto indesiderato: ha stressato, invece di sopire, le istanze identitarie delle Comunidades con maggiori vocazioni indipendentiste, con particolare riguardo ai Paesi Baschi e alla Catalogna. In particolare, la situazione politico-istituzionale recente di quest’ultima ha assunto una dimensione preoccupante per la tenuta del sistema autonomistico e della stessa integrità territoriale spagnola: dall’approvazione, nel 2006, del nuovo statuto autonomico, fino al referendum secessionista dichiarato illegittimo dal Tribunale costituzionale spagnolo e la successiva proclamazione di indipendenza duramente repressa dal Governo centrale del 2017, la vicenda catalana si è posta come la manifestazione più limpida di una tendenza “centrifuga” dell’autonomia sub-nazionale, con punte di secessionismo, manifestatasi in diverse parti d’Europa negli ultimi anni. Il riproporsi di una simile situazione in Italia appare però improbabile. Nella storia dei territori regionali italiani di rado si sono manifestate tendenze indipendentistiche forti come quella catalana . La situazione della Catalogna non è, peraltro, il risultato delle continue richieste di ampliamento di competenze, bensì della tendenza al livellamento delle competenze rispetto al resto della Spagna, che ha scatenato il malcontento generalizzato nella regione. È oggi utile dividere le Comunidades autonomas spagnole in tre categorie, a seconda del grado di decentramento delle funzioni. Le prime sono le c.d. Comunità forali (Paesi Baschi e Navarra), ad alto grado di decentramento. Si differenziano dalle altre perché riscuotono e amministrano direttamente gran parte delle imposte tradizionalmente gestite dal Governo centrale, e versano allo Stato una quota relativamente bassa per finanziare le funzioni esercitate dallo Stato nel loro territorio, similmente alle Regioni a Statuto speciale presenti in Italia. Vi sono poi le Comunidades con grado intermedio di decentramento, come Andalusia, Catalogna e Galizia, e infine le altre, a basso grado di decentramento. Il regime fiscale di queste comunità è piuttosto omogeneo: esse disciplinano e amministrano alcune imposte legate alla ricchezza, ma soprattutto partecipano al gettito di alcune imposte statali; scarso è invece il ricorso all’istituzione di tributi propri, soggetti a limiti molto stringenti. Per questo la dipendenza finanziaria dallo Stato centrale è molto alta. Si tratta di una situazione molto simile a quanto succede in Italia, dove esistono limiti altrettanto stringenti all’imposizione di tributi locali; se dovesse concretizzarsi una qualche forma di autonomia differenziata, le fonti predilette per finanziarla non potrebbero che essere le revisioni al rialzo delle compartecipazioni ai tributi erariali, piuttosto che un incremento della fiscalità propria. Alla luce di questa ricostruzione del modello di autonomia differenziata spagnola, numerosi appaiono i dubbi rispetto alla possibilità, per il modello di differenziazione predisposto dal nostro art. 116.3 Cost., di svilupparsi in maniera similare. Ostano a ciò differenze di genesi storica dei due istituti, oltre che la diversa configurazione politica dell’autonomia delle Comunidades autonomas. Ciò nonostante, diversi sono gli elementi di tale modello cui si potrebbe efficacemente guardare, come spunti per la risoluzione dei numerosi nodi che si trovano sul cammino della differenziazione regionale italiana.
Calabria, D. (2020). L’autonomia differenziata iberica come modello. Analogie e differenze tra il sistema di differenziazione regionale spagnolo e quello italiano. GRUPPO DI PISA(2020/3), 377-393.
L’autonomia differenziata iberica come modello. Analogie e differenze tra il sistema di differenziazione regionale spagnolo e quello italiano.
Calabria, D
Primo
2020
Abstract
Il modello di differenziazione delle competenze delle Comunidades autonomas spagnole, previsto nel Titolo VIII della Costituzione del 1978, è spesso stato utilizzato come riferimento nella predisposizione del nostro sistema di autonomia differenziata previsto, ma ad oggi mai concretamente sperimentato, dal nuovo articolo 116, co. 3 Cost. italiana; molti presumevano e auspicavano, inoltre, che tale modello di autonomia differenziata potesse fornire un esempio concreto anche in fase di attivazione dell’omonimo istituto italiano. Questi auspici, a distanza di quasi 20 anni dall’emanazione della Riforma del Titolo V, sembrano però essere stati avventati: la formula definitiva dell’art. 116 co. 3 n.t. si discosta infatti non poco, in definitiva, dal modello spagnolo. Le Comunidades spagnole accedono infatti alla differenziazione con un meccanismo generalizzato, nel quale sono direttamente i singoli statuti di autonomia a recare, come contenuto essenziale, l’elenco delle “competenze assunte nel quadro stabilito dalla Costituzione” ; la scelta delle materie è dunque demandata all’elaborazione dello Statuto di autonomia. Nell’ordinamento italiano, viceversa, la Costituzione attribuisce automaticamente alle Regioni ordinarie una rosa di competenze, lasciando in via eventuale la possibilità di ottenerne ulteriori attivando la procedura di cui all’art. 116 co. 3 Cost. Per questo motivo, in Spagna, le prime differenziazioni si sono presentate già con l’emanazione dei primi Statuti di autonomia, nel 1981; mentre in Italia, a distanza di quasi 20 anni dall’emanazione della Riforma costituzionale, non è ancora stata conclusa positivamente alcuna procedura di differenziazione. Vi è in comune tra i due modelli, invece, il necessario passaggio parlamentare della legge di recepimento della differenziazione; nel sistema spagnolo, tuttavia, manca qualsiasi riferimento a una previa fase di trattative per la predisposizione del contenuto dell’atto di differenziazione, presente invece in quello italiano, dove Stato e Regione devono concludere un’intesa in tal senso. L’elenco delle materie richiedibili dalle Comunidades è previsto dall’art. 148 Cost. spagnola; si tratta di competenze esclusive, di norma comprensive dei profili normativi e amministrativi. È invece opinione comune della dottrina che l’art. 116 co. 3 Cost. italiana consenta una maggiore modulazione nella scelta delle competenze, che possono essere assunte dalle Regioni in via concorrente o in via esclusiva, integralmente o solo nel profilo amministrativo. L’elenco di competenze incamerabili dalle Comunidades è inoltre completato dalla previsione per cui “le materie non espressamente attribuite da questa costituzione allo Stato potranno attribuirsi alle Comunità Autonome in virtù dei rispettivi Statuti” , ma solo “dopo il decorso di cinque anni” ; tale limite temporale non varrebbe però qualora la Comunità autonoma percorresse la procedura speciale dettata dall’art. 151 Cost. spagnola. Questa dualità di procedura trova le proprie radici nella genesi storica della democrazia spagnola: nella delicatissima transizione da un regime dittatoriale allo Stato democratico si dovette predisporre un sistema di differenziazione che permettesse un equilibrato sviluppo dell’autonomia in territori diversissimi tra loro, permettendo alle c.d. nacionalidades, i territori “costituenti entità regionali storiche” , di addivenire subito a forme di autonomia più ampie rispetto al resto della Spagna. Questo condusse, con la firma dei primi patti autonomici nel 1981, alla creazione di regioni “di primo livello” e “di secondo livello”: vennero concesse alle prime alcune ulteriori competenze importanti (sanità, educazione, reti televisive locali), mentre le seconde intrapresero il procedimento ordinario, con competenze più limitate. Una simile situazione non sussiste nell’attuale scenario socio-politico italiano; tuttavia, le profonde differenze socio-economiche tra Regioni del Nord e quelle del Sud del nostro Paese suggeriscono un approccio graduale nella concessione di competenze alle Regioni ordinarie, sulla base di quanto fatto in Spagna nel distinguere tra Comunità di primo livello e di secondo livello. Questa distinzione si è peraltro decisamente affievolita col tempo, per via di un’opera di progressivo livellamento delle competenze concesse a tutte le comunità: lo testimoniano le revisioni dei patti autonomici intervenute negli anni 90’, che, con sporadiche eccezioni , hanno attivato un processo inesorabile di omogeneizzazione verso l’alto delle competenze comunitarie. Un simile rischio è ipotizzabile anche per il processo di attivazione del regionalismo differenziato in Italia: come testimoniato dalle trattative in atto tra alcune Regioni del Nord e lo Stato , forte è il rischio di intese-fotocopia, spesso concertate tra Stato e diverse Regioni contemporaneamente e poco rispettose del principio di differenziazione delle competenze sulla base delle peculiarità dei territori coinvolti. Non bisogna tuttavia dimenticare che molto positivo è stato l’effetto di trascinamento che le Comunità spagnole più avanzate, arrivate prima alla gestione di alcune competenze, hanno avuto sulle altre Comunità, in un processo elastico che, se si verificasse in Italia, potrebbe portare ad una maggiore responsabilizzazione delle Regioni in sofferenza, spinte dall’iniziativa di quelle più avanzate. L’omogeneizzazione tra le comunità ha però avuto un effetto indesiderato: ha stressato, invece di sopire, le istanze identitarie delle Comunidades con maggiori vocazioni indipendentiste, con particolare riguardo ai Paesi Baschi e alla Catalogna. In particolare, la situazione politico-istituzionale recente di quest’ultima ha assunto una dimensione preoccupante per la tenuta del sistema autonomistico e della stessa integrità territoriale spagnola: dall’approvazione, nel 2006, del nuovo statuto autonomico, fino al referendum secessionista dichiarato illegittimo dal Tribunale costituzionale spagnolo e la successiva proclamazione di indipendenza duramente repressa dal Governo centrale del 2017, la vicenda catalana si è posta come la manifestazione più limpida di una tendenza “centrifuga” dell’autonomia sub-nazionale, con punte di secessionismo, manifestatasi in diverse parti d’Europa negli ultimi anni. Il riproporsi di una simile situazione in Italia appare però improbabile. Nella storia dei territori regionali italiani di rado si sono manifestate tendenze indipendentistiche forti come quella catalana . La situazione della Catalogna non è, peraltro, il risultato delle continue richieste di ampliamento di competenze, bensì della tendenza al livellamento delle competenze rispetto al resto della Spagna, che ha scatenato il malcontento generalizzato nella regione. È oggi utile dividere le Comunidades autonomas spagnole in tre categorie, a seconda del grado di decentramento delle funzioni. Le prime sono le c.d. Comunità forali (Paesi Baschi e Navarra), ad alto grado di decentramento. Si differenziano dalle altre perché riscuotono e amministrano direttamente gran parte delle imposte tradizionalmente gestite dal Governo centrale, e versano allo Stato una quota relativamente bassa per finanziare le funzioni esercitate dallo Stato nel loro territorio, similmente alle Regioni a Statuto speciale presenti in Italia. Vi sono poi le Comunidades con grado intermedio di decentramento, come Andalusia, Catalogna e Galizia, e infine le altre, a basso grado di decentramento. Il regime fiscale di queste comunità è piuttosto omogeneo: esse disciplinano e amministrano alcune imposte legate alla ricchezza, ma soprattutto partecipano al gettito di alcune imposte statali; scarso è invece il ricorso all’istituzione di tributi propri, soggetti a limiti molto stringenti. Per questo la dipendenza finanziaria dallo Stato centrale è molto alta. Si tratta di una situazione molto simile a quanto succede in Italia, dove esistono limiti altrettanto stringenti all’imposizione di tributi locali; se dovesse concretizzarsi una qualche forma di autonomia differenziata, le fonti predilette per finanziarla non potrebbero che essere le revisioni al rialzo delle compartecipazioni ai tributi erariali, piuttosto che un incremento della fiscalità propria. Alla luce di questa ricostruzione del modello di autonomia differenziata spagnola, numerosi appaiono i dubbi rispetto alla possibilità, per il modello di differenziazione predisposto dal nostro art. 116.3 Cost., di svilupparsi in maniera similare. Ostano a ciò differenze di genesi storica dei due istituti, oltre che la diversa configurazione politica dell’autonomia delle Comunidades autonomas. Ciò nonostante, diversi sono gli elementi di tale modello cui si potrebbe efficacemente guardare, come spunti per la risoluzione dei numerosi nodi che si trovano sul cammino della differenziazione regionale italiana.File | Dimensione | Formato | |
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Daniele Calabria - paper Call GdP Milano 2020 - L'autonomia differenziata iberica come modello.pdf
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