Il tema della violenza, da sempre oggetto dell’attenzione di studiosi provenienti da vari ambiti disciplinari, rimane ancora oggi avvolto da un’aura di “opacità” che ostacola il riconoscimento e la comprensione delle dimensioni di senso che l’attore sociale attribuisce al proprio gesto altamente deviante. Ciò non stupisce. Infatti, è proprio quando il crimine si fa più efferato e la violenza più eclatante che la questione del senso che l’agire violento può avere per gli individui – siano essi attori, vittime o semplici spettatori – si fa particolarmente ardua, tale da richiedere il massimo impegno interpretativo. Per provare a rispondere a questa sfida si è ritenuto utile introdurre, testare e sviluppare alcuni aspetti dell’approccio teorico elaborato dal criminologo statunitense Lonnie Athens, da intendersi come bussole per orientarsi nelle dinamiche degli atti atroci più efferati. La finalità di questa proposta teorica – che si colloca nel solco di quella tradizione filosofica nota con il nome di “interazionismo simbolico” – è quella di provare a comprendere quei processi che animano le esperienze sociali violente al di là di una rigida distinzione fra normalità e psicopatologia, e tra individuo e società. In altre parole, si prova a fornire una spiegazione alternativa alla tradizionale prospettiva che spiega il comportamento criminale violento prevalentemente assegnandolo all’universo della malattia mentale. Nella “logica comune”, ma anche in molte “logiche scientifiche”, infatti, non si ritiene possibile che una persona cosiddetta “normale” possa commettere certi tipi di azioni che per gravità e mancanza di provocazione appaiono assolutamente irrazionali, insensate, gratuite, incomprensibili. La presente ricerca mostra invece l’importanza di rintracciare e descrivere quei percorsi psico-sociali che conducono un individuo a realizzare atti violenti, quali omicidi, lesioni gravi o violenze sessuali, evidenziando come tali percorsi non siano segnati da una natura irrazionale e incontrollabile, ma piuttosto costruiti e collocati dentro itinerari interpretativi che è possibile ricostruire a partire dalla prospettiva di chi li ha vissuti, restituendo dei tracciati di “senso” in una certa misura intelligibili e avvicinabili. In tal modo, l’agire dei “criminali violenti” viene approcciato e riconosciuto come dotato di senso alla luce di un metodo – quello interazionista – che, smarcandosi da una spiegazione lineare di causa-effetto, consente di approfondire la conoscenza di mondi da sempre poco comprensibili e comunicabili.
Ceretti, A., Natali, L. (2009). Cosmologie violente. Percorsi di vite criminali. Milano : Cortina.
Cosmologie violente. Percorsi di vite criminali
CERETTI, ADOLFO;NATALI, LORENZO
2009
Abstract
Il tema della violenza, da sempre oggetto dell’attenzione di studiosi provenienti da vari ambiti disciplinari, rimane ancora oggi avvolto da un’aura di “opacità” che ostacola il riconoscimento e la comprensione delle dimensioni di senso che l’attore sociale attribuisce al proprio gesto altamente deviante. Ciò non stupisce. Infatti, è proprio quando il crimine si fa più efferato e la violenza più eclatante che la questione del senso che l’agire violento può avere per gli individui – siano essi attori, vittime o semplici spettatori – si fa particolarmente ardua, tale da richiedere il massimo impegno interpretativo. Per provare a rispondere a questa sfida si è ritenuto utile introdurre, testare e sviluppare alcuni aspetti dell’approccio teorico elaborato dal criminologo statunitense Lonnie Athens, da intendersi come bussole per orientarsi nelle dinamiche degli atti atroci più efferati. La finalità di questa proposta teorica – che si colloca nel solco di quella tradizione filosofica nota con il nome di “interazionismo simbolico” – è quella di provare a comprendere quei processi che animano le esperienze sociali violente al di là di una rigida distinzione fra normalità e psicopatologia, e tra individuo e società. In altre parole, si prova a fornire una spiegazione alternativa alla tradizionale prospettiva che spiega il comportamento criminale violento prevalentemente assegnandolo all’universo della malattia mentale. Nella “logica comune”, ma anche in molte “logiche scientifiche”, infatti, non si ritiene possibile che una persona cosiddetta “normale” possa commettere certi tipi di azioni che per gravità e mancanza di provocazione appaiono assolutamente irrazionali, insensate, gratuite, incomprensibili. La presente ricerca mostra invece l’importanza di rintracciare e descrivere quei percorsi psico-sociali che conducono un individuo a realizzare atti violenti, quali omicidi, lesioni gravi o violenze sessuali, evidenziando come tali percorsi non siano segnati da una natura irrazionale e incontrollabile, ma piuttosto costruiti e collocati dentro itinerari interpretativi che è possibile ricostruire a partire dalla prospettiva di chi li ha vissuti, restituendo dei tracciati di “senso” in una certa misura intelligibili e avvicinabili. In tal modo, l’agire dei “criminali violenti” viene approcciato e riconosciuto come dotato di senso alla luce di un metodo – quello interazionista – che, smarcandosi da una spiegazione lineare di causa-effetto, consente di approfondire la conoscenza di mondi da sempre poco comprensibili e comunicabili.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.